Girotondo di nomi
Il mondo agiato europeo del primo Settecento era una grande unica società, spesso imparentata internamente e che prescindeva dai confini nazionali: aveva ideali comuni, usanze condivise e soprattutto una lingua franca con cui comunicare: il francese parigino.
Anche gli orari e i nomi dei pasti erano condivisi praticamente ovunque: il francese di inizio XVIII secolo indicava come Déjeuner il pasto mattutino, Diner il pasto principale e Soupper quello leggero in serata.
Stando alle testimonianze dell’epoca, il pasto mattutino lo si prendeva appena svegli, di solito non dopo le 9, ed era spesso consumato in piedi e di fretta; il Diner si svolgeva a partire dalle 12 e solo nelle città più grandi e mondane (Parigi in primis) si poteva pensare di trovare gente che pranzasse dopo le 14; infine, alla sera si consumava un pasto a base di carni fredde, frutta, cioccolatini e liquori, ad un orario che varia tra le 20 e le 22.
Ad una prima occhiata non risultano grosse differenze rispetto agli orari di oggi, ma sarebbe errato credere che tutto sia rimasto immutato nel corso degli ultimi due secoli di storia europea.
Le differenze si trovano in due livelli diversi.
Il primo livello è quello linguistico: nel francese parigino di oggi, Déjeuner indica il pranzo e non la colazione (che invece è detta petit-Déjeuner, letteralmente “piccola colazione”) mentre Diner è ora accostato alla cena. Anche in inglese ora Dinner indica la cena, mentre nel XVIII secolo era associato al pranzo; persino nell’italiano della prima metà del ‘900 troviamo la parola pranzo per indicare il pasto serale e la locuzione ormai desueta di Seconda Colazione per designare quello di metà giornata (mentre quello della mattina è la Prima Colazione).
Il secondo livello è di natura più concettuale e riguarda il passaggio da un sistema imperniato su un pasto principale che, a prescindere dall’orario in cui era consumato, si chiamava pranzo, ad un sistema composto da due pasti di importanza fra loro equivalente, uno consumato alla sera (la cena) e uno alla fine della mattina (il nostro pranzo).
Lo spostamento dei termini è frutto del grande sconvolgimento che attraversò la società europea tra Otto e Novecento, che comprese cambiamenti di abitudini, di linguaggio e di concezione del mondo.
La moda di Londra
Sarà l’Inghilterra ad essere il traino del cambiamento, fra le altre cose, anche dell’orario e dei nomi dei pasti. E’ da qui, patria della Seconda Rivoluzione Industriale, che l’orario dei pasti diventa parte di quel pacchetto di usanze che servono ai ceti agiati per distinguersi da una società che diviene sempre più di massa ed egualitaria nei valori, ma che allo stesso tempo vede aumentare le discrepanze tra ricchi e poveri.
Già nel ‘700, l’Inghilterra e la sua nobilità sono al di fuori del bel mondo continentale: a causa dell’inimicizia tradizionale con la Francia e l’isolamento storico del Regno Britannico, sull’isola si svilupparono abitudini alimentari diverse dal resto d’Europa, destinate però a diventare la regola.
Ad inizio XVIII secolo, il re pranzava alle 15 e i primi ministri alle 16, ma alla fine del ‘700 quegli orari erano diventati provinciali e plebei: a Londra, i cittadini benestanti non pranzavano mai prima delle 17; tuttavia il Gran Mondo inglese lo faceva persino più tardi. Gli inviti alle feste dei nobili più importanti riportavano come orario del pranzo le 18, ma risulta che la gente non arrivasse mai prima delle 18:30 e ci si sedeva a pranzare alle 19!
Le informazioni derivano sia da fonti inglesi, sia da diari e lettere di diplomatici ed ambasciatori provenienti dai Paesi del Continente, che, giustamente, non potevano non notare quegli orari per loro assurdi.
Bisogna poi tenere a mente che i balli e le feste non erano la norma, ma occasioni speciali. Gli orari per gli eventi ufficiali più “normali”, come pranzi comuni delle corporazioni, delle accademie o delle associazioni, erano variamente fissati tra le 17 e le 18.
Lo spostamento avanti di quattro o cinque ore del pasto principale della giornata, certo non poteva passare sotto silenzio nemmeno tra gli stessi inglesi: questo fatto venne interpretato come una moda del mondo aristocratico e divenne strumento di satira ed ironia sui giornali britannici di settore.
Attraverso la presa in giro, si può capire quali fossero, al di là delle occasioni speciali, gli orari veramente concepiti come assurdi nei primi trent’anni del XIX secolo: lo stereotipo dell’aristocratico che voleva essere il più alla moda di tutti pranzava alle 20, prendeva la Soup alle 3 di notte e faceva breakfast alle 14; invece, un pazzo misantropo estremamente all’antica pretendeva di pranzare alle 15, il che ci fa capire che fosse ormai considerato un orario assurdamente presto.
Questi cambiamenti di abitudini alimentari non tardarono ad avere ripercussioni di ordine pratico: tra i vari esempi, emerge quello della Camera dei Comuni che, nel 1863, si trovò a dover discutere la questione dell’orario dei pasti perché il suo orario di lavoro cominciava ancora alle 16 come quarant’anni prima; solo che, allora, la maggior parte dei deputati aveva già pranzato a quell’orario, mentre negli anni Sessanta dell’Ottocento in media si andava a mangiare fra le 18 e le 19. Questo faceva sì che la Camera si svuotasse proprio nell’orario in cui doveva lavorare maggiormente; si fu pertanto costretti a cambiare l’orario di apertura del Parlamento, anticipandolo di due ore.
Organizzare una moda
Anche a Parigi, l’ascesa della borghesia aveva fatto nascere nei nobili il bisogno di trovare altri punti di distacco che li distinguesse dai nuovi ricchi. Siccome i borghesi avevano preso l’abitudine dei nobili di pranzare alle 14, i nobili iniziarono a ritardare ulteriormente il loro pasto principale, ispirandosi senz’altro alle usanze londinesi.
Già prima della rivoluzione del 1789, questo fatto era stato notato sia dai francesi che dagli esterni; chi lo indicava come una cosa positiva (gli inglesi) chi come una disdicevole e strana (russi, prussiani).
Rispetto all’Inghilterra, il ritardo del pranzo non venne solo visto come una moda degli aristocratici che, a causa dei loro impegni mondani, si svegliavano sempre più tardi, ma fu descritto dai contemporanei come un mutamento vero e proprio dello stile di vita: ormai, si preferiva sbrigare tutte le proprie faccende prima di recarsi a pranzo, così che, una volta terminato il pasto principale, composto da non meno di quattro o cinque portate, non si dovesse più fare nulla di impegnativo. Allungando il tempo tra la colazione e il pranzo, si aveva più tempo per lavorare.
Anche gli orari degli uffici pubblici e dei negozi parigini vennero razionalizzati in questa ottica: se prima della rivoluzione si lavorava di norma tra le 9 e le 12 e tra le 15 e le 21, in epoca napoleonica si faceva un unico orario dalle 9 alle 16.
Nel primo Ottocento, l’orario normale del Diner della corte parigina era ormai le 18 e d’estate persino più tardi; lo stesso Napoleone terrà quegli orari durante i suoi esili ed essi rimasero pressoché immutati anche dopo Waterloo e il Congresso di Vienna (1815-1816).
Le usanze della corte e della nobiltà erano però anche quelle che dettavano le mode; infatti, all’inizio dell’Ottocento, qualunque francese che volesse essere alla moda cercava di non pranzare mai prima delle 17, anche se era un semplice impiegato.
La mangiata di mezzanotte
Lo spostamento del pasto principale della giornata sconvolse l’intero sistema dei pasti.
La Soupper, cioè la cena, scomparve quasi ovunque proprio come pratica sociale e rimase un’abitudine plebea; compare solo in occasione di balli particolarmente prolungati, durante i quali costituiva proprio un momento preciso e fondamentale, considerando che molto spesso le feste del mondo agiato duravano fino alle 5 o alle 6 del mattino.
Si può ipotizzare che l’usanza della “spaghettata delle tre di notte”, o di altre pietanze consumate poco prima dell’alba in giorni di festa, trovi le sue origini proprio dallo slittamento di quella che originariamente era la cena.
L’invenzione della colazione
Si pone a questo punto il problema principale: come arrivare al pranzo delle 18, magari dovendo sbrigare tutte le proprie faccende quotidiane, senza aver messo sotto i denti nulla di consistente dal pranzo del giorno prima?
Difficilmente, infatti, la colazione concepita come nel ‘700 o ad inizio ‘800 poteva assolvere a questo compito, essendo tradizionalmente composta solo da una bevanda calda o alcolica.
Da un punto di vista linguistico questo risulta ancora più curioso: il francese parigino di quei tempi indicava talvolta quel pasto come colatiòn, ma non c’è traccia di questo termine nel francese ufficiale odierno, se non per indicare uno spuntino, cosa che effettivamente era quel tipo di colatiòn. Mentre in italiano si affermerà una derivazione da questo termine (Colazione, appunto), in francese sarà la parola Déjeuner ad avere la meglio su questo ed altri sinonimi.
Tuttavia, il problema non era tanto il nome del pasto, ma piuttosto come arrivare agevolmente al pasto principale della giornata.
Fu allora, intorno agli anni ‘10 dell’800, che arrivò sul Vecchio Continente la Déjeuner à la Fourchette: un nuovo pasto, che si collocava a metà mattina (approssimativamente tra le 10 e le 12) e che permetteva di arrivare fino al pranzo delle 18. Non era consumato come la tradizionale Déjeuner, ma la si prendeva seduti a tavola e vi si consumavano una o due portate di cibi abbastanza sostanziosi, ma comunque più leggeri del pranzo.
Tale abitudine veniva, anche lei, dal mondo anglosassone, nella fattispecie americano. Qui, dove questo pasto era chiamato Breakfast, lo si prendeva verso le 10 del mattino, mentre alle 7, appena svegli, i proprietari terrieri della Virginia consumavano il Julep, composto da bevande fresche a base di Whisky o Brandy.
Differentemente dal francese, l’inglese mantenne il termine Breakfast anche per indicare il nuovo tipo di colazione che inizia a diffondersi a inizio ‘800, mentre la bevanda semplice mattutina perde del tutto la dignità di pasto, pur mantenendosi come diffusa abitudine.
Nel corso del XIX secolo, il pranzo continua a slittare e così anche la Déjeuner à la fourchette, la quale non solo arriva sempre più a coincidere con l’originale orario del pranzo, ma comincia anche ad assomigliargli per sostanza. A metà secolo, la Déjeuner à la fourchette della gente più alla moda di Parigi si consuma tra le 13 e le 14 ed è composta da quattro portate, minestra compresa; intanto, il Diner è ormai normalmente svolto verso le 20.
Uno slittamento simile avvenne anche a Londra, con l’orario del Dinner che si attestò sulle 21.
Chiusura del cerchio
A inizio ‘900, siamo tornati al punto di partenza: sia a Londra che a Parigi abbiamo l’abitudine di consumare qualcosa di molto leggero appena svegli, che in Inglese riprese a chiamarsi Breakfast mentre in francese fu nominato Petit-Déjeuner; poi si fa la colazione “vera” tra le 11 e le 14, che i francesi indicano con il vecchio nome della colazione (Déjeuner), mentre gli inglesi inventano un nuovo termine (Lunch); infine, in orario ormai serale, si consuma quel pasto che, sia in inglese che in francese, porta ancora l’antico nome del pranzo (Diner e Dinner), ma che noi italiani traduciamo come “cena”.
Dopo tutto questo girotondo di orari e nomi siamo tornati ad un sistema binario, composto da un pasto di metà giornata e uno serale, con due differenze sostanziali rispetto al ‘700.
Una, l’abbiamo vista, risiede nell’ambito linguistico; l’altra, è di ordine pratico: il pranzo, discendente della Déjeuner à la fourchette, ha perso la sua connotazione di pasto principale della giornata; mentre la cena, discendente del pranzo, ha acquisito sostanza fino ad essere posta allo stesso livello del pasto mediano.
Tutto ciò può risultare più chiaro se pensiamo che noi invitiamo amici o parenti a pranzo o a cena più o meno indifferentemente; ma nell’Europa del’700 e del primo ‘800 gli ospiti si ricevevano a tavola solo per il pranzo o, negli anni della Déjeuner à la Fourchette, per colazione, ma nessuno avrebbe invitato un ospite per cena, perché era considerato un pasto minore, così come ora risulterebbe quantomeno curioso essere invitati da qualcuno specificatamente per fare colazione.
I nostri pasti borghesi
Lo spostamento degli orari dei pasti si arrestò dunque ai tempi della Belle Epoque (1900-1914), ma certo non terminarono qui i cambiamenti legati alla tavola.
Con l’avvento della società di massa, del consumismo e della globalizzazione, gli stili di vita sono ulteriormente cambiati e con essi sono cambiati i pasti: le abitudini degli aristocratici di cui si è discusso fin ora hanno smesso di dettare moda, finendo per confluire o essere scalzate da quelle borghesi.
Il pranzo, un tempo colonna portante dell’intero sistema, si è fatto spesso rapido e abbastanza frugale, funzionale non più a terminare la giornata di lavoro, bensì a continuarla; inoltre, proprio in Paesi come la Francia e l’Inghilterra, esso è divenuto sempre più marginale.
Di conseguenza, ha assunto maggior peso la colazione, che tutt’ora è spesso definito “il pasto più importante della giornata” perché deve dare energia per tutto il giorno.
Infine, la cena è diventata il momento conviviale per eccellenza, ripercorrendo la logica del pasto conclusivo della tipica giornata di lavoro, ormai prolungata fino ad orario serale.
Isani Luca,
Nato a Bologna, ha frequentato il Liceo Classico per poi laurearsi in Storia dell’Alimentazione presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna nel 2022. Ha proseguito gli studi storici nella stessa Università e il suo percorso accademico è ancora in atto. Ora Si occupa principalmente di Storia della domesticazione, dell’ allevamento e dei sistemi produttivi, spazia tra la preistoria e l’età contemporanea studiando soprattutto i rapporti tra gli uomini, il mondo che gli circonda e quello che si sono creati.